Arte di fare il bagno

I Ciclisti

Abbiamo nella gola
le dolcezze di Laigueglia e Albissola
la ruota di farina, la strada di pietra
usciamo la mattina, mugnai della fatica
abbiamo tutti nel cuore la salita.

Nader Ghazvinizadeh, Arte di fare il bagnoGiraldi, Bologna, 2004 

Arte di fare il bagno

Postfazione di Roberto Roversi

Solo ad aprire la nostra finestra sul mondo, per le notizie che ci arrivano – e anche non tutte ma solo una parte – e ci colpiscono giorno dopo giorno, come una sventagliata di mitra, questo mondo sembra affogato in una menlma viscida, in un mare di fuoco. Violenza inesorabile ovunque. Spietatezza e indifferenza ostentata, aggressività tempestosa solo per conquistare potere e accontentare tutte le voglie; suscitate o insinuate. E’ vero – ed è giusto dirlo – chenon tutti sono frantumati dentro a questo dissesto, e si comportano con affaticata equità e non calpestano frettolosi le ore (o le foglie) della loro vita; ma è anche vero che quanto sopra rapidamente enunciato consegna i più dei viventi dentro a questo quadro dissennato e furibondo.

Allora, ed è una buona urgente domanda da proporsi in varie occasioni, e che adesso nel privato mi pongo (per poi rispondermi o cercare di farlo giorno dopo giorno) dove collochiamo o possiamo collocare con una qualche convinta fermezza, la scrittura opoetica dentro al finimondo ubiquo in cui niente è trattenuto dopo il suo apparire e tutto appena fatto si dissolve dopo una effimera esistenza di farfalla? Che cosa, insisto, cerchiamo e leggiamo inseguendo la popesia, senza illusioni ma per drammatica necessità? La poesia è ancora, può essere ancora non un velo ma un muro salvifico? Rispondiamo con una affermazione e così incalziamo con ragionevole intemperanza l’ansia delle e nelle nostre letture.

Se dunque tutto è movimento, ogni pagina letta, ogni libro aperto ingoiato e poi rinchiuso, è un approdo, un porto dell’attesa e della speranza, dopo (ripeto) quel tempestoso viaggio in mare sulle pagine. Perciò anche questo libro/freccia, questo libro/racconto di Nader è barca o gabbiano su mare procelloso con finale trionfo di suoni e di sorptrese. Un Wandebuch, un libro, una raccolta, giovanilmente goethiana nella sua disperata o prepotente concisa, vitalità. Le pagine di questa raccolta racchiudono il sentimento esasperato di un prender terra provenienti dal mare; di calpestarla questa con ombroso entusiasmo e curiosità e sorpresa, ancora grondanti di salso. E subito dopo, quasi accompagnato da respiri, il brivido continuo di occhiate acuti come tanti bagliori di lama che perlustrano il territorio nuovo su cui si è calati, per orientarsi, per intendere, per capire contrassegnandolo in ogni particolare.

Questa mi sembra, fuori dai denti, la buona, direi anzi la novità dei testi di Nader. La registrazione, dopo continui scontri diretti, delle quotidiane “necessità esistenziali”; lui che viene da lontano ma sembra aver decifrato già un po’ tutto questo mondo con una concisione sorprendente.

Afferra e scontra la realtà bruscamente ma senza lasciarsi travolgere; anzi con la pienezza culturale di capirla e se possibile condividerla. Il nuovo è, ripeto, suono e parola e Nader li sta conquistando al prezzo di una attenzione non disarmata.

di Alex Caselli da www.daemonmagazine.it

Arte di fare il bagno è l’arte di godersi i momenti magici e ripetibili che la vita ci offre. La mitizzazione di una realtà comprendente il modello (il cinema con il suo catalogo d’improvvisazioni) e l’esperienza trasfigurata, – poiché per l’appunto resa mitica, – in forme di compiaciuta esaltazione. Nader Ghazvinizadeh è un poeta epico. Conosce le regole del mondo che vive, ma ciò non gli impedisce di godere e magnificare la vita che gli si offre, di farne arte: “fu in quell’attimo che mi trovai sul palcoscenico / retrobottega, avanspettacolo”. Le poesie di questo libro funzionano nel momento in cui questa trasfigurazione si compie, non come retorica di un mondo, ricostruito a pezzi separati, ma come momento di piacere mitico nel presente. Si capisce allora come l’urbanistica e il calcio, più che passioni per il poeta, giochino un ruolo importante in queste poesie. La prima, per il fascino di una scienza, che ci rapporta ai luoghi e ci da una mappa del nostro “sentire”, il calcio invece per quell’ imprevedibile darsi e sottrarsi, per l’obliquità di movimento, – proprio come in un dribbling – insita nel vivente. Naturalmente qui è l’ispirazione, la deduzione improvvisa a risultare determinante. Per questo devo rilevare che accanto a notevoli poesie, ce ne sono altre non riuscite, dove sembra evidente che il poeta si è lasciato sfuggire il momento decisivo e subentra dunque la retorica o uno sguardo fotografico non riscattato. Ma le poesie che funzionano, – e sono proprio tante per un esordio – lo fanno proprio perché per dirla con Nader “tra il silenzio e quel che non diciamo / c’è un fiume del quale non parliamo.” Il fiume è la vita, che come il calcio è gitana. Il poeta non si limita solo ad essere il Mister, che coordina, suggerisce, inventa, ma al contrario è lui stesso a scendere in campo, a parlare il linguaggio delle cose di cui partecipa, a giocarsi la “matta”. Il mito e l’epica sono tutte lì, nel mondo amato ed esaltato nel presente e quindi non ricostruito a posteriori, dove anche nei meccanismi più imbarazzanti, l'”arte” è partecipare dell’avventura “e si gode l’ora dei moscerini / il vino di sera nelle città in fiera” e le storie diventano i lineamenti stessi del poeta.

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